Braccio di ferro Racconto autobriogafico

BRACCIO DI FERRO

Cris abitava nel ” Paese senza sole”, in una casetta di vetro che aveva quattro finestre a forma di oblò.

Alla porta non c’era il campanello, perché egli non desiderava essere disturbato, c’era però una targhetta azzurra con il suo nome e cognome e uno strano calendario che, oltre i giorni della settimana, riportava diverse annotazioni.

Naturalmente Cris non era l’unico abitante del “Paese senza sole”; vicino alla sua abitazione c’erano altre casette di vetro simili alla sua.

Era però una strana convivenza, perché gli abitanti non uscivano mai di casa e comunicavano solo tramite strilli.

Cris era il campione riconosciuto di acuti, tanto da essersi guadagnato il soprannome di “Braccio di ferro”, per le sue indiscusse doti.

Nel paese non erano ammessi estranei o turisti e per le vie circolavano soltanto, con passo felpato, strane fate dai camici bianchi, che, con mano leggera, bussavano alle porte di vetro. Invidiavo quelle fate con tutta la mia forza e benché frugassi nei miei ricordi di bambina non riuscivo a trovare un desiderio così intenso.

Conoscevo tutti gli orari e i movimenti delle fate, attendevo con impazienza il momento in cui svanivano, poi, furtivamente, mi appoggiavo al confine di vetro e cercavo con gli occhi mio figlio.

Così, tutti i giorni, per tre mesi, chiacchieravo con lui in un muto linguaggio, e avevamo sempre molte cose da dirci. Il nostro rapporto, che era stato interrotto bruscamente proprio nel momentio più bello, quando gli scalpitii nel mio ventre si facevano più frequenti, continuava ora in un buio paese che in realtà si chiamava “PEDIATRIA – Sezione immaturi”. Il mercoledì e il sabato erano i miei giorni preferiti perché le fate annotavano nel calendario gli etti aumentati durante quei giorni ed ogni etto era un sorso di felicità. La domenica rinunciavo volentieri al colloquio per osservare i primi, timidi tentativi di approccio tra un bambino ed il suo papà. Non so chi dei due mi intenerisse di più.

Dalla mia camera ,attigua alla casetta di vetro, riuscivo a scorgere solo tetti e lo spazio del cielo, ma oltre stava trionfando il giallo della mimosa e, se chiudevo gli occhi, riuscivo a sentirne il profumo. Sapevo di una casetta dal pergolato di glicine, e di un papà che apriva le finestre per far entrare il sole e chiuderlo in una stanza per il suo bimbo che, un giorno o l’altro, sarebbe arrivato. Vedevo gli aquiloni ondeggiare incerti nel cielo, salutando i filari dei pioppi. Gli aquiloni erano di carta velina di tutti i colori, ma il più bello era il più piccolo, guidato da trepide mani.

Certe notti sognavo di salire di corsa una scala a chiocciola senza fine e intorno a me erano: fanali, vicoli, grovigli di tetti. Altre notti sognavo una stanza piena di pupazzi di stoffa. A volte mi sembrava che ne nessuno avrebbe potuto comprendere ciò che provavo. un misto di tristezza, di euforia, di solitudine, di speranza: non so. Intanto le annotazioni sul calendario aumentavano e Cris salutò la casetta di vetro per trasferirsi in un’anonima culletta senza veli e trine e, per nulla turbato dal cambiamento di abitazione, continuò le sue esibizioni canore e le sue contorsioni.

Era o non era “BRACCIO DI FERRO?”

Ma un giorno egli dovette sognare di raccogliere stelle nei prati, e penso che lo riferì alle fate, convincendole che, se lo avessero lasciato andare, senz’altro ne avrebbe raccolto anche per loro.

Fu così che le fate, lasciate le arti magiche, vestirono Cris a festa, lo saziarono di baci e me lo regalarono.

Quella notte sognai per l’ultima volta la lunga scala a chiocciola ma riuscii a salire tutti i gradini e a trovarne la fine. Mi svegliavo ogni cinque minuti, ma non c’era ansia nello sguardo che rivolgevo al piccolo addormentato accanto a me. “Dormi!” mi diceva il suo papà, ma qualcuno dovrebbe spiegarmi come mai anch’egli fosse sveglio.

Ora Cris sgambetta felice in una casetta piena di sole. Quando sarà più grande gli racconterò una bella favola di cui è stato protagonista.

LAURA  LUNA

 

 

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Non so

Confesso,

non sono riuscita a mantenere il segreto,

ora come allora

e così l’ho confidato agli alberi,

ai granelli di sabbia,

alle onde del mare

ai raggi del sole,

alle nuvole,

 

Non so se sono riusciti a capire

 

i miei sottili messaggi

la profondità

del punto esatto

in cui riesco a sentirmi felice,

a volte non mi capisco neanch’io.

Solo tu mi capirai.

Lauraluna

 

 

 

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Censura

Ah quindi ” Via col vento ” vietato e rimosso dal catalogo perché razzista.
Nella foto, uno dei migliori vestiti da pomeriggio della storia del cinema, e domani sarà un altro giorno e un altro scandalo piccoletto
.. questo furore iconoclasta mi sembra un po’ maccartismo alla rovescia un po’ pseudo intellettualismo.. o della scoperta dell’acqua calda, o della smemorina che annacqua la capacità di giudizio, che’ l’attrice che interpretava la saggia Mamie vinse l’Oscar, ed è stata la prima donna afroamericana a vincerlo, e miss Rosella era pesa come il piombo per non parlare di miss Melania e pure quello sbruffone di Rhett o come si chiamava, però quel filmone resta un cult movie, con buona pace dei novelli censori.

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La solitudine di coppia

Penso che ci sia una grande solitudine di fondo in questo mondo.Il vaso è quasi sempre vuoto e colmarlo è pressochè impossibile. A volte inganniamo proprio per non rimanere soli, mi chiedo perché sia sempre così difficile parlarsi soprattutto in una coppia, entrare in intimità. Nonostante la famiglia , un patner, ci si sente soli.

Il confronto intellettuale, l’interesse comune, non sempre fanno parte di un rapporto di coppia, oppure di dissolvono, a poco a poco, come neve al sole.  Lentamente si scivola nel disinganno, nell’incompletezza.

E così  a volte anche nel cinismo.

Ci si sente più soli quando si sta con chi ci è vicino che quando si è veramente soli. La vera solitudine può essere spesso un conforto; mentre la solitudine in due, ( o in molti ) è insopportabile.

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Luce improvvisa

Non ho bisogno di tempo

per sapere come sei

conoscersi è luce improvvisa.

( Pedro Salinas)

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2 gigno ( nr 2 )

Ehi, dico a te.

A te che sei stato due settimane a casa, con la febbre alta, il rantolio nei polmoni e la paura di non farcela.
Dico a te, che eri con le lacrime agli occhi mentre i camion dell’esercito portavano via le bare dei caduti di Coronavirus.

Oppure a te, che hai perso il lavoro ma nonostante tutto sei rimasto in casa per rispetto degli altri.

Dico a te, che hai passato gli ultimi 90 giorni barricato in casa, magari con figli, perché era giusto così.

A te, che ti hanno dimesso dopo un mese di ospedale e ancora adesso fai i conti con le cicatrici del Covid19.

O a te, che hai visto morire un tuo parente senza poterlo neanche salutare.

Ehi, dico a te.
Guarda le immagini di oggi.
Ciurme di irresponsabili chiamate alle armi da uno che fino a qualche mese fa sporcava la Repubblica ricoprendo indegnamente il ruolo di ministro dell’Interno.

Dico a te. Proprio a te, che magari avevi pensato anche di votarlo, questo sciacallo.

Guarda le immagini di Roma. Guarda la gente che umilia e stupra la salute pubblica in un assembramento infimo e violento.

Dico a te. Proprio a te.
Guarda gli occhi dello sciacallo.
E dimmi, in cuor tuo, se una “persona” del genere sarà mai più degna di essere votata. E di rappresentare qualsiasi cosa che non sia un tombino aperto sulla strada.

FABRIZIO DEL PRETE
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2 GIUGNO

Buon Due Giugno, natale della Repubblica.
In ritardo, ma a tutti i Re d’Italia; a tutti i sessanta milioni di titolari della sovranità nazionale. A chi accetta il peso della corona e s’informa e ragiona, come a chi si fa irretire dal ciarlatano di turno. Mentre anche dall’estero si esprime sorpresa davanti alla nostra coesione. Sorpresa di chi non ci conosce. Oltre Atlantico, il sogno americano non basta più. Gli Stati Uniti, governati dal peggior presidente della loro Storia, scoprono d’aver costruito la società più ingiusta dell’Occidente. La società italiana è un coacervo di contraddizioni, ma è tenuta da legami profondissimi, vecchi di millenni. In un paese grande nelle sconfitte, ma che deve temere le vittorie. Anche quella momentanea contro il virus. L’occasione per il peggio della nostra politica di far sentire la propria voce. Anche se il pudore, dopo il disastro della gestione sanitaria lombarda, dovrebbe imporgli il silenzio. Una pia illusione. Facciamoci gli auguri perché dovremo ricostruire nonostante loro. Mojito che voleva i pieni poteri e, intanto, viola tutte le regole. Perché ordine e disciplina, sì, ma solo per gli altri. Il vecchio generale dei Carabinieri dai deliri golpisti (e che la Repubblica continua a mantenere). I no-vax e le crape rasate che salutano romanamente; i neo-nazi e teorici di ogni complotto. Almeno non si definissero di centro-destra. Non sono certo di centro e, in fondo, neppure di destra. Sono gli eterni “piove, governo ladro”, specie se al governo non ci sono i camerati. Il solito volto del nostro eterno autolesionismo. Se non si può scomodare il fascismo, sempre e comunque, quella roba là.

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Corsi e ricorsi cicli e ricicli

Quante parole si dicono
e quante poche che restano.
Sarà che la storia degli uomini
è fatta di identici fatti
di corsi e ricorsi
di cicli e ricicli
così pure le storie di ognuno
si somigliano tutte.
Quante cose in comune tra loro.
In un bel film vedi sempre anche te.
Come poi ti ritrovi narrato
dentro un racconto avvincente
o specchiato in una buona canzone.
Le parole purtroppo
sono spesso se non sempre le stesse
e talvolta mostrano i segni
di una vecchia toccante stanchezza.
Solo i sogni quasi mai arrugginiscono.
Ma ogni tanto devi tirarli fuori all’aria
e lucidarli ben bene
perché il tempo non ci faccia la muffa.
E se serve devi pure cambiarne dei pezzi
perché una visione ha bisogno del nuovo,
di energia, di fermento.
Quante espressioni si scrivono
e quante poche hanno senso davvero.
Quante frasi si cercano tutta la vita
e quante poche si trovano
quando è il momento.
Questa sera ho provato comunque
di venire all’appuntamento.
Saldare un debito di vicinanza
in un pugno di righe.
E magari proseguire l’incontro
in un transito più taciturno
un passeggio occhi avanti
e mano sopra la spalla
o con il braccio allacciato al mio braccio
senza dire poi altro
senza sapere dove si va.

Claudio Baglioni

 

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VIVERE

Vivere non è abbastanza, disse la farfalla,

uno deve avere il sole, la libertà, e un piccolo fiore.

(Hans Christian Andersen)

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Perdersi

Mi sto perdendo , ci siamo perduti in tanti un pezzo di primavera…. ma qualcuno molto di più.Comunque non so quando e come  ma noi non ci perderemo e  da qualche parte ci troveremo.

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